È Giuseppe Montemagno il nuovo portavoce del Forum del Terzo Settore della Sicilia. Attuale presidente di ARCI Sicilia, succede a Pippo Di Natale che lo ha guidato negli ultimi 8 anni. Un mondo, quello che si trova a rappresentare, che oggi fa sempre più i conti con la mancanza di dialogo con le istituzioni che continuano a dimostrare di non comprendere il valore di un settore che dimostra sempre di più la sua grande capacità di stare al fianco dei più fragili, sostenendo le comunità locali, partecipando attivamente ai processi di sviluppo del sistema di welfare
Fonte: https://www.vita.it/vita-a-sud/il-terzo-settore-in-sicilia-va-ascoltato-perche-e-la-vera-voce-dei-territori/
Articolo di Gilda Sciortino
Cinquantaquattro le associazioni regionali che fanno oggi parte del Forum del Terzo Settore Sicilia. Ognuna rappresentativa di realtà che appartengono al mondo del volontariato, della promozione sociale, alla cooperazione sociale, settori abbastanza complessi e anche abbastanza diversi l’uno dall’altro perché ognuno operante con proprie modalità, proprie caratteristiche e anche finalità diverse.
Per tutte loro il Forum dovrebbe essere il luogo dell’interlocuzione con le istituzioni, ma c’è veramente un oceano tra il dire e il fare.
Ci troviamo a fare un grande lavoro perché dalle istituzioni il Terzo settore è sempre stato considerato non dico marginale, ma quello che si è sempre occupato di “poveri sfortunati”; veniva convocato ai tavoli, ma spesso senza che si tenessero in grande considerazione le istanze che portava con sé dal territorio. La battaglia, quindi, da fare è provare a cambiare questo modo di fare, anche perché sempre di più il Terzo settore ha un grande valore economico in quanto frutto di lavoro sociale. Parliamo di economia sociale, civile perché le persone svantaggiate, di cui spesso le associazioni si occupano, sono una risorsa concreta per le comunità.
Non si riesce a dialogare con la politica perchè assente dai tavoli in cui dovremmo confrontarci sul sistema del welfare
Sembra, però, che quel che la comunità europea afferma, rispetto al fatto che le istituzioni devono chiamare il Terzo settore a coprogrammare e coprogettare, venga troppo spesso disatteso.
Le normative di fatto ci riconoscono un ruolo ben preciso. La riforma, il codice del Terzo settore dice che, pur essendo un soggetto privato, è portatore di interessi sociali generali e pubblici. Ovviamente non equiparandolo alle istituzioni che hanno una loro valenza e comunque, pur essendo un soggetto privato, di fatto porta avanti un interesse pubblico. Quindi, da quel punto di vista, va tenuto in particolare considerazione in quanto portatore di strumenti che possono aiutare nella definizione delle politiche. Non succede, però, perché le istituzioni continuano ad agire secondo una modalità legata alle scadenze burocratiche e poco ai contenuti. Anche quello che emerge dai tavoli viene tenuto in poca considerazione perché, alla fine, è assente la parte politica. Spesso i nostri interlocutori sono funzionari che, per quanto possano essere sensibili e attenti, non possono andare oltre l’aspetto amministrativo.
Cosa, quindi, chiedere alla politica?
Sicuramente bisogna incalzarla per ottenere piattaforme di confronto più attive. Lo dico a ragion veduta, secondo la mia esperienza, perché da quello che sono i risultati prodotti dal Terzo settore in Sicilia, tocco con mano che, senza di esso, alcuni settori sarebbero in difficoltà. Penso a tutta la questione riguardante i servizi socio-sanitari dove le associazioni, le cooperative sopperiscono alle carenze del pubblico; penso alla questione della tutela dei territori e della gestione delle aree protette affidate alle organizzazioni ambientaliste. Che dire poi delle politiche per l’infanzia? Un tema quest’ultimo, che vede la Sicilia essere una delle regioni con i peggiori dati sui servizi rivolti alla fascia di età compresa tra 0 e 6 anni. Potrei portare l’esperienza di Palermo con lo Zen o di Catania con Librino, ma anche di quei piccoli comuni che spesso hanno nelle associazioni presenti nei territori gli unici punti di riferimento come luoghi di aggregazione esistenti. Visto che ormai ogni cosa si misura in termini di economia, se dovessimo dare un valore economico a tutto questo, proprio in Sicilia il costo sarebbe altissimo soprattutto perché continuiamo a perdere popolazione più giovane che va sempre più via.
Dobbiamo, quindi, ripensare il sistema di welfare?
Certamente perché le associazioni del Terzo settore sono quelle che vivono i quartieri, le persone. Ecco perché è importante che le istituzioni dimostrino la volontà di dialogare. Non voglio pensare che alla politica tutto questo non interessi assolutamente, ma posso portare esempi di amministratori che fanno la differenza diventando veri e propri modelli di riferimento. Giorni fa abbiamo avuto un incontro a Catania nell’ambito dei percorsi formativi di FQTS, la Formazione dei quadri del Terzo settore, e abbiamo invitato Michelangelo Giansiracusa, il sindaco di Ferla, in provincia di Siracusa, venuto a raccontare le esperienze di un Comune, il suo, premiato da diversi anni come realtà sostenibile per quel che riguarda le attività di innovazione anche sociale introdotte nel territorio. Ci ha spiegato in che modo hanno costruito un meccanismo virtuoso che parte dalla raccolta di rifiuti, passa dalla realizzazione di infrastrutture messe a disposizione della comunità per arrivare alla gestione comune dell’acqua. Un risultato ottenuto grazie all’aiuto delle associazioni che hanno portato le loro idee di fattibilità e di gestione degli spazi. Stiamo parlando di un Comune di neanche 2.500 abitanti. La Sicilia, come anche tanti altre regioni italiane, ha Comuni al di sotto dei 5mila abitanti, nei quali potere replicare modelli del genere. Quello che chiediamo alla politica è che ci venga riconosciuto quel ruolo che la legge ci attribuisce sulla base del lavoro che il Terzo settore ha fatto in questi anni, producendo poi la normativa. Ricordiamo che, durante il Covid, molte cose si sono potute fare perché le associazioni hanno messo a disposizione i propri spazi, i propri volontari per sopperire a un momento anche di difficoltà complessiva, un momento drammatico per le famiglie, per le nostre comunità. Passata la fase emergenziale, però, non ci basta la pacca sulle spalle; vogliamo che ci si metta nelle condizioni di continuare a lavorare senza essere costantemente penalizzarci.
Considerato questo quadro generale, qual è il lavoro che si accinge a fare il Forum?
Il Forum ha intanto da fare un lavoro di formazione dei quadri delle associazioni, come anche di sostegno per far crescere tutto il mondo del Terzo settore, mettendo a disposizione delle persone gli strumenti necessari a costruire politiche pubbliche che diano modo di avere una struttura forte e coesa. Ognuno, però, deve mettere a disposizione le proprie competenze per sostenere anche le realtà più piccole che in Sicilia sono numerose. Possiamo fare tanto se c’è un lavoro di collaborazione anche con il Forum nazionale che, devo dire, in questi mesi di passaggio ci è stato vicino.
Lei porta con sé l’esperienza come presidente dell’Arci Sicilia.
Non c’è dubbio. Io mi sono avvicinato a questo mondo ormai 30 anni fa quando a Gela, la mia città natale, nacque il circolo Arci. Numerose le esperienze fatte nelle associazioni studentesche in un momento particolare della vita del mio Comune dove era in corso una sanguinosa guerra di mafia. Come studenti lanciammo un appello alle istituzioni per tutelare la nostra comunità istituendo un coordinamento studentesco antimafia. La mia prima partecipazione attiva alla vita pubblica è poi è proseguita con la nascita, nel ‘95 del circolo Arci Le nuvole, decidendo di occuparci di minori. Rivoluzionaria per quei tempi e quel territorio fu la nascita della ludoteca, inaugurata con la prima Carovana Antimafia, luogo in cui riconoscere i diritti dei bambini che in quel momento erano soggetti assenti dalla vita politica e dalle discussioni pubbliche. Per noi era fondamentale avere un luogo dove i bambini potessero giocare; riconoscere il diritto al gioco era per noi un elemento di prospettiva, per dare speranza alla comunità attraverso la costruzione di politiche educative che dessero attenzione per esempio alle famiglie che vivevano in una condizione di difficoltà. Io continuo a fare il presidente di Arci Sicilia, svolgendo la mia attività nel circolo del mio Comune perché credo che sia importante vivere ogni esperienza confrontandomi con le persone in situazioni di difficoltà economica, quelle che ancora oggi non riescono ad arrivare a fine mese. Esperienza che porterò nel Forum, creando tavoli che, per esempio, sulle questioni ambientali non vedano parlare solo le associazioni ambientaliste perché questo è uno dei temi che riguardano tutti, ponendo questioni che abbiano punti di vista anche diversi. Il tema dei cambiamenti climatici, infatti, ha come conseguenza la povertà, le questioni demografiche e la desertificazione dei territori, ma anche la crisi economica perché, in un territorio come la Sicilia, ci si può rendere conto con maggiore evidenza che, se prima determinate coltivazioni erano la normalità, oggi sono più complicate da ottenere, sollecitando una riflessione sulle modifiche che comportano quelle dinamiche nel mercato del lavoro che producono cambiamenti seri.
Quindi, la visione oggi deve essere più globale.
Per questo dico che il Terzo settore va ascoltato in quanto può dare un contributo non indifferente alle politiche, producendo risultati positivi che possono giungere solo ascoltando la voce del territorio. Credo che la grande scommessa che la politica debba accettare è relativa al cambiamento delle modalità del confronto. Le leggi non possono essere soltanto frutto di discussione tra capi partito, con cui è diventato complicato ragionare e immaginare. Le norme, le leggi devono essere frutto di un confronto tra soggetti produttivi, sindacati e Terzo settore, quindi la politica che si fa carico di questo confronto deve tornare a stare in mezzo alla gente, deve tornare a occuparsi delle questioni di genere facendo propri i bisogni delle persone. Diversamente, tutto quel divario esistente a ogni tornata elettorale tra chi si candida e chi invece va a votare, aumenterà sempre di più allontanando le persone dai luoghi istituzionali.
Quali sono gli obiettivi del Forum del Terzo Settore da lei guidato?
Io dico che ci dobbiamo allargare oltre le 54 associazioni che ne fanno parte, coinvolgendo le tante realtà locali che sono nei territori e che sono capaci di dare un contributo non indifferente. Dobbiamo provare a fare questo lavoro in tutte le province sapendo che la Sicilia è molto complessa non solo perché muoversi al suo interno non è così facile, ma anche perché Palermo non è uguale a Catania, a Caltanissetta o a Messina, così come alle aree interne; ogni territorio ci interroga anche in relazione ai temi nazionali. Dobbiamo porci il problema dei bambini che non possono andare a scuola perché il loro numero, in alcune zone, è così basso da non consentire di garantire loro i servizi primari. Una drammatica conseguenza dello spopolamento che non possiamo risolvere dicendo ai giovani di non partire o di ritornare. Non abbandonerebbero la loro terra se ci fossero prospettive.
Fortunatamente in Sicilia il Terzo settore non arretra di fronte alle difficoltà. Che tipo di realtà è?
Per fortuna è ancora un mondo in cui la gente ha tanta voglia di fare. E questo, lo dicevamo prima, si scontra con quel dialogo con le istituzioni che spesso lascia a desiderare. Ovviamente ci confrontiamo sempre con le altre regioni in cui questa interlocuzione è felice e produttiva. Penso alla Puglia, dove negli anni si sono emanate leggi innovative nel settore culturale e delle politiche giovanili. Laddove la politica è attenta e predisposta all’ascolto si sono costruite esperienze importanti. Dobbiamo purtroppo ammettere che la Sicilia non è stata questa grande produttrice di leggi significative e quelle che si fanno spesso non rispondono a nessun bisogno, non determinano alcun cambiamento. Siamo, poi, ancora in una condizione in cui, rispetto alla povertà educativa, non facciamo altro che analizzare dati senza che queste analisi portino cambiamenti. Spesso ci si ferma a una semplice analisi di dati che non porta alla creazione di servizi per l’infanzia. Nessuno si preoccupa di attivarli, considerando che il tempo pieno porta anche alle mense, quindi a una presa in carico globale dei nostri bambini.
Per programmare tutto questo ci vuole una particolate visione necessaria a chi si candida al governo di una città come Palermo o di una regione come la Sicilia.
Certamente, anche perché, solo con una visione lucida, puoi immaginare oggi quel che potrà accedere tra dieci o venti anni. E basta dire che non ci sono fondi perché di soldi ne sono arrivati in abbondanza, milioni di euro che sono stati rimandati al mittente perché non si ha la capacità di spenderli. Così, nello specifico degli asili nido, il risultato oggi è che aumenteranno i posti al Nord mentre al Sud, nonostante il grande bisogno, resteremo sguarniti nella fascia 0 – 6 anni. Basterebbe ricordare che i bambini che vanno all’asilo nido conseguono risultati scolastici diversi da chi non ha questa fortuna. Chi si si candida per guidare una città dovrebbe volere mettersi semplicemente e totalmente al servizio del cittadino, senza fare pensare sempre di fare qualcosa di straordinario.
Dobbiamo, quindi, abbandonare il concetto di emergenza.
La cosa drammatica è che si va avanti pensando all’eccezionalità. Scopriamo esperienze, per esempio nel campo dell’accoglienza dei migranti, che ci parlano di una normalità della quale ci siamo dimenticati. Ci sono piccole comunità che adottano intere famiglie, generando processi virtuosi; esperienze che dimostrano come l’incontro tra culture diverse generi ricchezza per i nostri territori. Il problema vero è che, se vivi tutto come in perenne emergenza, sei sempre in un eterno corto circuito dal quale non potrai mai uscire se non cambi modo di pensare e agire.